Silvio Di Francia: «Non possiamo accentrare tutto su Roma»
Italiajudo vi propone l’intervista a Silvio Di Francia, candidato al Consiglio Nazionale della FIJLAKM in rappresentanza dei dirigenti per il settore Judo.
In un periodo difficile come questo, con quali strumenti pensa di aiutare le società sportive nel caso Lei dovesse essere eletto?
Premesso che, qualora fossi eletto, da soli non si fa nulla e che occorre uno sforzo collettivo – non solo, dunque, del Consiglio Federale – credo che dovremo attrezzarci diversamente dal passato. Con la crisi ci sarà un inevitabile calo delle piccole sponsorizzazioni – alle grandi non ci eravamo mai arrivati – dovremo obbligatoriamente rivolgerci ai fondi europei, statali e regionali. Tutte cose che altre federazioni già praticano. Oltretutto con il Recovery Fund arriveranno molte risorse al nostro Paese, che riguarderanno anche il mondo dello sport. A mio avviso dobbiamo essere bravi a intercettarle e a intervenire tramite la Federazione sia a livello centrale sia a livello regionale. Ci saranno molti bandi, avvisi pubblici, finanziamenti che possono aiutare i nostri club; non parlo solo delle società sportive di punta ma anche di quelle che fanno judo a 360°. Serve una struttura in Federazione che si occupi dei finanziamenti europei, ministeriali e regionali e che al tempo stesso sia al servizio delle società sportive al fine di educarli a sfruttare questi mezzi.
Che tipo di azione vede necessaria per la crescita degli ufficiali di gara, sia in riferimento ai presidenti di giuria, sia per quanto riguarda gli arbitri?
È chiaro che la formazione è necessaria in ogni ambito, come mi insegna il mio compagno di cammino Silvio Tavoletta, fare l’arbitro, ma anche il Presidente di Giuria, è diventato un ruolo sempre più difficile considerando i repentini cambiamenti del regolamento. Se da un lato c’è bisogno di più formazione, che va esercitata a ogni livello, più in generale c’è la necessità che gli ufficiali di gara italiani si mettano di più in sintonia con gli standard internazionali. Negli ultimi anni c’è, però, stata un’eccessiva politicizzazione della questione arbitrale. Gli ufficiali di gara devono essere una categoria legittimata, tutelata, rispettata, ma allo stesso tempo lontana dalla competizione politica.
Come vede la collaborazione tra i club e lo staff tecnico nazionale?
Se penso a quanti club si trovino lontani da Roma, dove si allena la nazionale, capisco che molti possano sentirsi esclusi. Sarebbe opportuno far girare la nazionale molto di più. O si cresce tutti insieme, oppure rischiamo di penalizzare il movimento judoistico italiano.
Secondo Lei attualmente ci sono in Italia insegnanti tecnici all’altezza di ricoprire il ruolo da direttore tecnico oppure bisognerà andarlo a cercare all’estero?
Per il ruolo di D.T. punterei di più sui tecnici italiani, visto che abbiamo le competenze nel nostro paese, non vedo perché non dobbiamo sfruttarle.
Nell’intervista rilasciata da Andrea Regis a Italiajudo, questi si è espresso a favore delle deleghe anche per i rappresentanti degli atleti e degli insegnanti tecnici. Ci può spiegare meglio quest’ aspetto?
In altre federazioni le elezioni si svolgono in maniera diversa: un esempio è rappresentato da quelle federazioni che eleggono atleti e tecnici a livello regionale. Costringere tutti i rappresentanti degli atleti e degli insegnanti tecnici d’Italia a venire a Roma è penalizzante, anche perché ad alcuni potrebbe non interessare la politica federale. Per di più, le società sportive si sono impoverite durante la pandemia e richiedere che sostengano dei costi di viaggio e alloggio in questo momento storico secondo me è inopportuno. Il discorso è diverso per i dirigenti sportivi, sicuramente più vicini e interessati alle questioni politiche.
O si cambia, dunque, il sistema, per esempio eleggendo i rappresentanti di atleti e tecnici a livello regionale, assicurando una maggiore partecipazione dei territori, oppure si rischia di avere dei consiglieri nazionali eletti da un ristretto numero di club. Non accuso nessuno, ovviamente, le regole sono queste e vanno osservate. Però in futuro possiamo cambiare le regole.
Non crede che più deleghe possano avere un impatto negativo sulla democraticità della Federazione?
Sono d’accordo. Però lo stesso vale anche per i dirigenti. Perché le deleghe sono previste solo per questi ultimi? Mi pare ci sia un evidente squilibrio.
Lei ritiene che la FIJLKAM abbia avuto finora una gestione trasparente?
Non sono abituato ad accusare qualcuno su cose che non conosco a fondo. Non voglio lanciare invettive sul lavoro altrui. Non voglio, però, eludere la domanda chiarendo che il problema non è nella trasparenza dei bilanci (che hanno un doppio livello di controllo), ma nelle scelte “politiche”. Si punta sui club o sulla struttura centrale? Sui Comitati Regionali o sul centro? Sulla formazione e sulle gare o sulla burocrazia federale? Si tratta, appunto, di scelte politiche sulla gestione e distribuzione delle risorse. Nella mia esperienza istituzionale, extra federale, il bilancio era sempre al centro dei confronti perché avrebbero condizionato poi tutte le scelte.
La revisione dello Statuto è un punto importante di entrambi gli schieramenti nel settore judo. Come si distingue la vostra riforma delle Carte Federali?
A mio avviso la nostra Federazione deve aprire lo Statuto a una maggiore democraticità: il fatto che un singolo settore possa impedire qualsiasi candidatura è un paradosso oltre che un errore. La FIJLKAM ha tre settori a cui si aggiungono discipline associate. Lo Statuto impedisce una rappresentanza ampia e ciò nuoce alla democrazia. Tantissime palestre si dedicano con passione e competenza sull’aspetto pedagogico del judo, su fanciulli e ragazzi, nelle scuole, perché non possono partecipare alle scelte di una federazione che è anche la loro casa?
Ci sono altre priorità su cui bisogna assolutamente agire?
Bisognerà accorciare la distanza tra la Federazione, i territori e le società sportive. Questo è un problema serio: non possiamo accentrare tutto su Roma e capisco che può sembrare paradossale detto da un romano. Il Consiglio Federale, almeno per il nostro settore, potrebbe essere convocato, di volta in volta in altre regioni, magari facendolo precedere da un’assemblea di ascolto e condivisione, anche perché ogni regione ha diversi problemi che hanno diverse soluzioni. Più che di programmi bisognerebbe discutere prima di metodo. Cambiando il metodo di approccio ai problemi e anche lo spirito con il quale si affronta quello che, lo ripeto, è forse il periodo più difficile per la nostra disciplina. Uno spirito che deve essere segnato da una forte dose di umiltà; perché noi esistiamo, come federazione, perché ci sono i ragazzi, gli atleti e con loro i tecnici che ogni giorno salgono sul tatami, mai il contrario. Una volta si diceva “riportare la chiesa al centro del villaggio”, ecco: noi dobbiamo – non come consiglio federale, ma come movimento tutto – riportare il judo al centro della federazione.
Per concludere, vuole aggiungere qualcosa?
Spero che le persone votino liberamente senza condizionamenti. In questo momento vedo il timore di esporsi, per non essere etichettati, come se ci s’iscrivesse ad un partito. Ogni club, indipendentemente dal voto che esprime, rappresenta un valore di per sé oltre che per la Federazione. Nessuno deve temere nulla. Anche perché, l’ho già detto, i consiglieri che saranno eletti debbono poter contare sull’appoggio degli altri. Una campagna elettorale troppo avvelenata non fa bene a nessuno (lo dico a mo’ di esempio, poco tempo fa qualcuno ha pubblicato su una pagina social di un blog che riceverei dalla federazione 1.200 euro al mese. Si tratta, come tutti sanno, di una notizia totalmente falsa).
Spero, invece, che vengano in tanti a votare direttamente, è un diritto, ma anche una responsabilità e, aggiungo, un modo per cambiare le cose.
Commenta con Facebook