Cronaca e Storia del Judo Italiano 11

Cronaca e Storia del Judo Italiano 11

Come ogni giovedi’ sera, vi proponiamo la rubrica curata dal Maestro Silvano Addamiani, VIII Dan, dal titolo “Cronaca, Commenti e Storia del Judo Italiano”. Buona lettura.    L’agonismo esasperato dai regolamenti tecnici, aveva portato il judo ad essere descritto da GS Bartoletti, durante le Olimpiadi di Pechino, come una lotta con il kimono e nulla […]

Pubblicato da S. Addamiani il 4 Dic 2014 in Roma

Come ogni giovedi’ sera, vi proponiamo la rubrica curata dal Maestro Silvano Addamiani, VIII Dan, dal titolo “Cronaca, Commenti e Storia del Judo Italiano”. Buona lettura. 

 

L’agonismo esasperato dai regolamenti tecnici, aveva portato il judo ad essere descritto da GS Bartoletti, durante le Olimpiadi di Pechino, come una lotta con il kimono e nulla più. Tutti i maestri erano preoccupati della strada intrapresa.

L’agonismo è la parte vitale per una Federazione, la più importante. Per alcuni judokas tale abbrivio sembrò essere pericoloso, ma prima di andare avanti su questi antefatti, dobbiamo fare una piccola premessa: tutti sanno cosa sono i kata (dei modelli di tecniche catalogate), alcuni creati da Jigoro Kano a conservazione dei principi delle forme tecniche da lui proposte. Su questo tema,dei kata, tutto è rimasto immobile sino agli anni 2000. Poi si sono accese le luci sportive.

Gli americani, si sa, sono dei maestri nel mostrare, smisuratamente, un evento.

Il karate lo hanno trasformato in “full contact” prima, in “kick boxing” poi, esaltandone e trasformando la disciplina, della mano nuda, in un business mondiale.

Nessun contenuto etico o storico se non la destrezza degli atleti che li praticavano, e il piacere della gente nel vedere questi spettacoli sportivi.

Il judo era un’altra disciplina da plasmare secondo la visione commerciale degli Yankee.

Si cominciò a colorare i judoji (non solo blu) nelle gare sportive, ma tale manovra con l’agonismo olimpico non era molto condivisibile, cosicché l’attenzione si posò sui kata della disciplina del fior di ciliegio.

I kata erano meno esposti e meno apparenti al grande pubblico e i meno conosciuti dai media.

I kata, nelle loro forme tecniche, nella loro plasticità, nei loro ritmi orientali, potevano essere fonte di movimento e di interesse.

S’avviò così, questa macchina commerciale, messa in moto da organizzazioni private, che volevano scalare il mondo del judo, non per farlo crescere, ma per avvalersi delle sue possibilità che lo rendevano commerciale.

Prima in Canada, poi a New York, poi Londra e a seguire il Kodokan di Tokyo, furono i grandi palcoscenici, di questi eventi, tutto il mondo dei praticanti ne fu attratto, gli italiani colsero dei magnifici successi; Volpi e Ripandelli, sugli altri.

Naturalmente tutto era fatto in modo privato.

Ciò premesso, ritorniamo nel nostro contesto problematico: tradizione o agonismo?

La divergenza federale s’espresse salomonicamente: il judo è tradizione con i kata e agonismo con lo shiai (combattimento).

Come si usa dire ” ci misero una toppa al problema” .

Poi, come spesso succede, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, cosicché, i kata, divennero forme agonistiche, come lo shiai, e allora come la mettiamo con la tradizione e l’agonismo?

La federazione europea, aveva inserito le gare di kata nei suoi programmi, così fece l’Italia acquisendo consensi con i suoi dirigenti e con i suoi atleti.

Si stabilirono delle regole, si crearono gli arbitri e si fecero delle gare anche internazionali.

In Italia, ci sembra, si sia esagerato un pò. Si sono formati i docenti di kata, gli arbitri, con tutti i relativi regolamenti.

Che bisogno c’era di farlo? Non bastavano i maestri di judo?

I nostri maestri hanno nei loro esami, la prova di conoscenza dei kata, tutti, da sempre.

E allora, ci si domanda, perché fare dei docenti? Evidentemente, se era proprio necessario, bastava fare un aggiornamento progressivo nei corsi di judo annuali.

Se si continua con queste qualificazioni partitiche in un prossimo domani, pensiamo che potrebbe nascere il docente del ne-waza, con specifiche competenze e ruoli, nell’organico del judo.

A noi ci sembra una faraonica impresa affaristica e politica.

La federazione che come lei dice non naviga nell’oro, ha accettato, nei cinque anni di attività nel movimento dei kata, ben tre campionati europei ed ha inserito nel suo medagliere ben cento medaglie, prese dagli atleti di kata contro le duecentoquarantuno degli atleti dello shiai in sessantatre anni di vita federale.

Titoli e referenze inducono i praticanti di kata a perseguire la “via” ben pianificata dai dirigenti; noi staremo a guardare come va a finire, ma questo judo un poco ci preoccupa.

Continua…


  1. Porcari Giuseppe says:

    Seguo con molta attenzione la storia del Judo illusrata cosi’esaurientemente dal M° Addamiani. E’ mio onvincimento che il Judo a differnza del Karate, abbia sravolto il senso del concetto di KATA. Non mi sento e non sono un grande cultore, dei KATA e lungi da me, voler esprimere giudizi su questa parte del JUDO o sulle posizini della Federazione Internazionale, in merito. Ho seguito con molta attenzione, da praticante prima e da dirigente federale poi, l’evoluzione che il KATA ( forma,modello )ha avuto in questi anni e se sono stato favorvole all’abbinamento che il KATA(una parte importante del JUDO)doveva servire come completamento al Judoka nella conoscenza della disciplina ( siamo stati i primi a proporre alla nostra Federazione lo studio dei KATA con il M° SUGIYAMA,sono un suo allievo, che ha redatto il primo testo Federale sull’argomento)credo che diventi meno convincete questa trasformazione forzata dei KATA A VERA E PROPRIA ATTVITA’ AGONSTICA. Infatti oggi nella nosra federazione sta’ prevalendo la tendenza ad avere una perequazione tra il KATA e lo SHAI. Viene da pensare che tutto questo interesse verso i KATA, sino ad alcuni anni fa’ ignorati, sia diventato una cstruzione di una posizione politica di qualche dirigente internazionale e non.
    Porcari Giuseppe

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