Le nostre radici: la lezione di Francesco Totti
Sono tanti i big del judo italiano che non abbiamo mai ringraziato abbastanza e che meriterebbero una celebrazione della propria carriera simile a quella che ha permesso a Francesco Totti di staccare il cordone ombelicale con il calcio giocato e con i propri tifosi. Una lezione che dovrebbe spingerci a cambiare questa “tradizione” che ci appartiene.
L’addio ai tifosi della Roma da parte di Francesco Totti e l’evento in pompa magna organizzato presso lo stadio Olimpico di Roma domenica scorsa a valle del match con il Genoa mi ha fatto riflettere e un parallelismo con il mondo del judo mi è balzato alla mente.
In effetti, sono tanti i big del judo italiano che hanno appeso il judogi al muro in sordina, senza un evento che li abbia celebrati come invece meriterebbero, il più delle volte senza nemmeno una comunicazione ufficiale, una conferenza stampa volta ad informare i supporter e tutti gli appassionati in genere del proprio abbandono dalle competizioni.
Lasciare le competizioni una volta per tutte, mettere la parola fine ad una avventura per poi iniziarne un’altra, di cui spesso non solo non se ne conoscono i dettagli, ma nemmeno le linee generali, non deve essere affatto facile. Francesco Totti domenica scorsa si è aperto confessando la propria paura per il futuro, per un futuro incerto, probabilmente lontano dalla propria passione più grande, ovvero il calcio giocato sopratutto nella Roma. Non importa quanti soldi si siano guadagnati, quanto si sia popolari, quante coppe o campionati si siano vinti, a volte non è sufficiente nemmeno il calore e il supporto della propria famiglia e dei propri cari, perché lasciare l’agonismo è una scelta difficile e a volte dolorosa, che si fa persino fatica a spiegare.
Eppure, Francesco Totti ci é riuscito, con la semplicità che lo contraddistingue. Domenica scorsa, Totti è stato in grado di esprimere non solo la sensazione di smarrimento che si trova a vivere, ma anche una necessità importante: ovvero il bisogno del calore dei propri tifosi per avere la forza di buttarsi in una nuova avventura: “Mi levo la maglia per l’ultima volta, la piego per bene anche se non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai – ha affermato il capitano della Roma nello stadio Olimpico dopo la partita – scusatemi se in questo periodo non ho chiarito i miei pensieri ma spegnere la luce non è facile, adesso ho paura, non è la stessa cosa che si prova davanti alla porta. Concedetemi un po’ di paura, stavolta sono io ad aver bisogno di voi e del vostro calore, quello che mi avete sempre dimostrato. Solo con il vostro affetto riuscirò a buttarmi in una nuova avventura.”
Ufficializzare la fine delle competizioni è un gesto importante non solo per l’atleta, ma anche per i tifosi stessi e per tutto il movimento sportivo di appartenenza. È un modo per ringraziarsi a vicenda per l’avventura trascorsa insieme, è un modo per accettare una volta per tutte la realtà e lo scorrere del tempo che ci impone di lasciare spazio ai più giovani. Ma è anche un modo per celebrare la nostra storia, un modo per lasciare un ricordo alle future generazioni, per lasciare una testimonianza ed una eredità a coloro che verranno e sopratutto un modo per ricordare e ringraziare coloro che hanno fatto grande il nostro Paese in giro per il mondo.
Per via della mia età, non ho ricordi legati al mondo del judo di alto livello prima degli ultimissimi anni ’90 per cui non so se le cose prima siano state diverse. Posso tuttavia affermare senza richiare di essere smentito che negli ultimi 20 anni non è stata una nostra “tradizione” celebrare i nostri campioni quando si trovano a lasciare una volta per tutte le competizioni. Il più delle volte, il mondo del judo si rende conto dell’abbandono dalle competizioni solamente dopo non aver visto per un periodo di tempo quel determinato atleta prendere parte alle gare e cosi il dubbio cresce tra gli appassionati fino a trovare conferma con il passare del tempo: “Ha proprio smesso di fare judo!”
Mi vengono in mente nomi importanti: Roberto Meloni, Michele Monti, Ylenia Scapin, Paolo Bianchessi, Lucia Morico, Giuseppe Maddaloni, Francesco Bruyere, Giulia Quintavalle, Dennis Braidotti, Rosalba Forciniti, Elio Verde, Diego Brambilla, Cinzia Cavazzuti, Giorgio Vismara, Antonio Ciano, Girolamo Giovinazzo, Emanuela Pierantozzi ma anche andando un po’ più indietro nel tempo con Margherita De Cal, Maria Teresa Motta, Laura Zimbaro, Alessandra Giungi, Laura Di Toma e tanti, tanti, tanti altri campioni – quasi impossibile citarli tutti e per questo chiedo venia – che non abbiamo mai ringraziato abbastanza e che meriterebbero una celebrazione della propria carriera simile a quella che ha permesso a Francesco Totti di staccare il cordone ombelicale con il calcio giocato e con i propri tifosi.
Ritengo che il take away della lezione che arriva dalla Roma, dai romanisti e da Francesco Totti dovrebbe spingerci a cambiare questa “tradizione” che – ahimè – ci appartiene.
Ad onor del vero, sono da ritenersi interessanti e del tutto positivi i due esperimenti attuati dalla Federazione nel corso del 2016: da un lato il ricordo di Luciano Di Palma, dall’altra la celebrazione dei 40 anni dalla medaglia olimpica conquistata da Felice Mariani. Un evento per “recuperare” il debito che abbiamo maturato con la nostra Storia sarebbe la conferma di voler intraprendere fermamente un nuovo approccio d’ora in avanti.
Come appassionato e tifoso di Judo, mi è mancato molto non aver celebrato la carriera dei nostri grandi campioni. Chissà che non sia mancato anche a loro…
Ennebi (Twitter account)
Interessante analisi , strade parallele gestite in maniera molto diversa, cosa dire, molti ex campioni di judo forse non hanno celebrato il loro addio perchè semplicemente sono passati da una sponda,”atleta” all’altra “tecnico” e quindi non si è staccato il cordone ombelicale con il tatami.
Per gli altri è vero, una celebrazione che si trasformi in storia della nostra vita sarebbe necessaria. Forse è perchè Jigoro Kano disse che il judo di basso livello è quello praticato sul tatami, mentre quello di alto livello e diffondere il principio di “miglior impiego dell’energia in amicizia e mutua prosperità” nella vita, quindi avanti con la pratica anche senza il Gi.