JUDO E SOCIETÁ – Presentazione

JUDO E SOCIETÁ – Presentazione

Questo mercoledi’ inauguriamo la rubrica dal titolo “JUDO E SOCIETÁ” tenuta da Giuseppe Tribuzio, sociologo dell’Educazione e della Salute, formatore e docente incaricato di Sociologia presso l’Università degli studi di Bari, istruttore federale fin dal 1982. Il professore Tribuzio e’ un esperto formatore ed educatore di docenti di ogni ordine e grado nel recupero della devianza giovanile […]

Pubblicato da G. Tribuzio il 8 Apr 2015 in Bari

Questo mercoledi’ inauguriamo la rubrica dal titolo “JUDO E SOCIETÁ” tenuta da Giuseppe Tribuzio, sociologo dell’Educazione e della Salute, formatore e docente incaricato di Sociologia presso l’Università degli studi di Bari, istruttore federale fin dal 1982. Il professore Tribuzio e’ un esperto formatore ed educatore di docenti di ogni ordine e grado nel recupero della devianza giovanile e della dispersione scolastica. E’ l’autore del libro: “Judo. Educazione e societa’”. Con questa rubrica il prof. Tribuzio suggerisce i principi del judo come via per raggiungere il miglioramento della societa’.

Buona lettura! 

 

Questa rubrica  non commenterà  i risultati sportivi riguardanti i vari tornei di judo nazionali e internazionali, sarebbe un doppio di altre ben più  qualificate, ma cercherà di aprire una  finestra  a lungo tenuta socchiusa  su ciò che il judo può diventare  all’interno di una società sempre più  frenetica e competitiva come  quella  che ci vede protagonisti  ogni giorno.

Il judo, così  come lo  conosciamo, è uno strumento  potentissimo per  educare i giovani a conoscere meglio se stessi e quindi  le proprie  capacità, i propri desideri, le proprie attitudini, i propri limiti.  Ma  questo percorso  non è dei più semplici perché per giungere a ciò è necessario che i giovani imparino a pensare con la propria testa di fronte agli eventi, sempre più complessi, che si  presentano davanti a loro.

Da tempo ormai si parla  di cambiamento continuo, del doversi adeguare ai cambiamenti, perché nulla è più immaginabile come stabile, immutabile. Famosa è diventata la definizione del sociologo Z. Bauman che a tal proposito  ha coniato il termine di  “modernità liquida”.

I giovani studenti, dopo aver seguito i programmi  ministeriali, appena  diplomati si rendono conto di essere in ritardo rispetto al mondo del lavoro che,  per essere sul mercato, deve competere e per  questa ragione necessita di innovazione continua.

Allora  come  fare se  tutto gira ad alta velocità?  Non si fa in tempo ad imparare qualcosa che è già  superata da altro. Non si può imparare tutto, questo è evidente. Ma una cosa è possibile  fare, allenare la  mente ad apprendere il nuovo quando  è il momento. Quindi  non si tratta di avere una testa ben piena ma, come  diceva Montaigne,  di avere una testa ben fatta, in grado di essere pronta ad ogni evenienza, per dare la risposta giusta al momento giusto.

La scuola, in genere, non prepara i giovani a questa duttilità, perché anche laddove riesce  a trasmettere i saperi, non riesce a educarli al confronto con la realtà,  che necessita non solo di conoscenze ma  ha bisogno di particolari abilità. Il sociologo francese  E. Morin  a questo proposito ha ripreso in considerazione  quell’intelligenza  astuta  tipica dell’epoca omerica, nota ai greci con il termine di “metis”. Se  individuiamo Ulisse come il miglior  rappresentante di questa intelligenza, nello stesso tempo dobbiamo essere in grado indicare un metodo  che consenta ai giovani di cimentarsi  con situazioni  che cambiano in continuazione, che per essere fronteggiate  richiedono non solo  abilità fisiche, ma capacità intuitive in grado promuovere un agire  efficace mentre appare il fenomeno.

Ecco, la pratica  del Judo  sembra essere la disciplina ideale per  allenare l’intelligenza intuitiva in grado di  dare ai giovani una marcia in più  nella loro formazione. Il judo,  pertanto, a qualsiasi  livello, pone l’individuo di fronte a situazioni che,  nel loro svilupparsi in forma dinamica, richiedono  tempi di reazione sempre più  brevi, con risposte opportune. Con l’allenamento  quotidiano al randori si giunge dopo  un po’  di tempo ad intuire l’azione dell’avversario–partner un attimo prima che essa si  sviluppi. Si parla in  questo caso si intuizione  che prevale sull’intenzione. Appare evidente  quanto  sia necessario  lo sviluppo di questa qualità  per poter esprimere al meglio le proprie competenze in ogni ambito della vita sociale.

Ma  affinchè il judo  possa educare  all’agire intuitivo sono necessari  dei programmi didattici ben  ponderati che mirino a questo, che educhino i giovani, prima di tutto, come afferma Immanuel Kant nel suo trattato di pedagogia, a pensare e in seguito ad agire riducendo al minimo lo scarto tra pensiero ed azione.

I giovani hanno bisogno, pertanto,  nella loro formazione non solo di titoli  e medaglie da esibire, ma di una intelligenza raffinata, in  grado di dar loro la possibilità di capire  meglio e in tempo utile i cambiamenti che li coinvolgono nella loro quotidianità, sempre più complessa di un combattimento di Judo.

Continua…

 

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  1. Fabio says:

    Soprattutto i giovani hanno bisogno (come noi tutti) di pensare con la propria testa. Articolo molto interessante.

  2. Vittorio Serenelli says:

    Gentilissimo Professore,
    sono lieto di ritrovarla su Italiajudo e di poter condividere alcune visioni sul ruolo educativo del Judo.
    Pur concordando con molto di quello che Lei scrive nel suo interessantissimo libro e in questo breve articolo devo però sottolineare che in molti casi il Judo può rivelarsi un’arma “spuntata”.
    Mi spiego, lei dice “Il judo, così come lo conosciamo, è uno strumento potentissimo per educare i giovani a conoscere meglio se stessi e quindi le proprie capacità”. Certo, ma per poter praticare Judo si devono possedere dei pre-requisiti di base.
    Oggi, purtroppo, una importante fetta della popolazione infantile arriva all’età per la frequenza della scuola primaria senza aver completato la maturazione necessaria per affrontare i compiti richiesti.
    Ma come dice il prof. Giacomo Rizzolatti “il sistema motorio non serve solo a produrre ma a recepire cosa fanno gli altri”. Questa affermazione, dal mio punto di vista pedagogicamente rivoluzionaria, pone il motorio alla base di tutto il cognitivo. Di conseguenza se i bambini arrivano all’età della primaria senza i pre-requisiti necessari il problema va ricercato nel “motorio”.
    A cascata ne discende che come non sono pronti per affrontare le elementari spesso non siano pronti ad affrontare un corso di base di Judo.
    Ora le chiedo, a suo parere il corpo insegnanti delle scuole e i tecnici sportivi sono preparati e pronti per affrontare i problemi dei bambini del 2015?
    Cordialmente
    Vittorio Serenelli

    • giuseppe tribuzio says:

      Carissimo Vittorio,
      condivido ciò che metti in evidenza nel tuo commento. Purtroppo la scuola, ancora oggi, dopo tutte le promesse di continue riforme, non è in grado di percepire i problemi dei bambini, che non sono solo cognitivi, tutt’altro, sono come tu evidenzi, motori o meglio psico-motori abusando un po’la terminologia.
      Il corpo insegnanti cosa vuoi che ne sappia della motricità se riduce gli alunni a stare seduti per diverse ore, bambini che avrebbero bisogno di muoversi, di esplorare le proprie capacità? Due ore di educazione fisica bastano nella scuola secondaria di 1° grado? E nelle primarie? Quando anni fa ho semplicemente proposto ad una Direttrice di Scuola elementare,( allora si chiamava così, perchè scusa l’inciso, queste sono le uniche riforme che piace fare da noi, cambiare le intestazioni),di lasciare montato sul pavimento della sua palestra il tatami di judo per consentire ai suoi alunni di rotolarsi, di strisciare, di fare capovolte di camminare a piedi scalzi, finalmente, la risposta è stata: “No. Poi come fanno a fare ginnastica? ” Le maestre non possono stare scalze sul tappeto, se gli alunni si fanno male?. Insomma, c’è molto da fare ancora. La scuola vede ancora se stessa come un fortino, che deve resistere a chi propone cose che “essa stessa” non è stata in grado di pensare. Per certi versi c’è ancora questa arroganza intellettuale, che diffida di chi non espone un titolo, un brevetto, ma semplicemente “buon senso”. Ma nonostante ciò dobbiamo continuare ad andare avanti: “tutti insieme…” altrimenti non siamo credibili e non possiamo proporci come pensatori innovatori.

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