JUDO E SOCIETA’ 8
Al suo ottavo appuntamento la rubrica “Judo e società” si sofferma sulla possibilità del judo di rompere i confini del tatami e di pervadere la vita circostane insinuandosi con forza nella quotidianità: è lo spirito di un arte ed una disciplina che va oltre lo sport facendosi strumento educativo e veicolo di nuova umanità capace […]
Al suo ottavo appuntamento la rubrica “Judo e società” si sofferma sulla possibilità del judo di rompere i confini del tatami e di pervadere la vita circostane insinuandosi con forza nella quotidianità: è lo spirito di un arte ed una disciplina che va oltre lo sport facendosi strumento educativo e veicolo di nuova umanità capace di restituire l’uomo a se stesso.
Prima del Judo e oltre il Judo…
Nella relazione educativa c’è sempre stata una certa riconoscenza da parte dell’educando nei riguardi dell’educatore. L’allievo e il maestro lavorano insieme allo stesso progetto anche se con compiti diversi e nel loro lavoro somigliano tanto uno alla chioccia che dopo aver covato il suo uovo nel momento giusto becca il guscio per far uscire il pulcino, che cerca di fare lo stesso dall’interno. Se il guscio si apre prima del tempo il pulcino rischia di morire, se invece si schiude in ritardo il pulcino muore soffocato. Educare è un “gioco” molto sofisticato nel quale devono essere rispettati tempi e ruoli, per questa ragione è sia arte che scienza.
Il maestro di Judo non può essere più identificato come un semplice istruttore, in grado di trasmettere il gesto tecnico, ma come educatore capace di dare senso all’attività che si svolge sul tatami. Educare i giovani judoka a seguire con gli occhi e le orecchie quanto viene mostrato e detto è una parte importante della pratica del Judo, che in altri ambito viene sempre più trascurata.
Nelle Epistole di Plinio, il giovane, leggiamo che «fin fai tempi antichi vigeva la norma che noi imparassimo dai più anziani, non solo con le orecchie ma anche con gli occhi, le cose che avremmo dovuto fare noi e che in seguito a nostra volta avremmo dovuto trasmettere ai più giovani. Di conseguenza i ragazzetti venivano subito formati alla disciplina militare, affinché si avvezzassero a comandare obbedendo, a fare i condottieri, mentre intanto erano gregari; inoltre chi si disponeva a intraprendere la carriera politica si piazzava alle porte della curia e faceva l’osservatore delle pubbliche deliberazioni prima di diventare partecipe. Ognuno aveva come maestro il proprio padre o, se non lo aveva più, ne faceva le veci uno tra i più anziani e autorevoli»[1].
La nostra cultura, che attinge molto dal Rinascimento, si è sviluppata e affermata nelle botteghe artigiane, all’interno delle quali questi insegnamenti sono diventati parte essenziale della formazione dei più grandi artisti italiani. La trasmissione della conoscenza, lo si è capito fin dai tempi antichi, e l’insegnamento di Socrate è un esempio, non avviene con automatismi, ma è possibile solo in presenza di una relazione diretta tra maestro e allievo, che i giapponesi chiamano “I shin den shin”, cioè “dal mio cuore a tuo cuore”. Oggi, non essendoci più botteghe artigiane e non potendo far fare ai giovani l’esperienza di apprendere un mestiere da un maestro, che insegna senza insegnare, facendo semplicemente da modello, l’unica occasione possibile resta quella di entrare in una scuola di Judo, che ha molto ancora di bottega. Qui un “artigiano” dello sport accoglie coloro che voglio dedicarsi allo studio del Judo e propone loro di osservare, ascoltare, provare, riprovare il gesto tecnico fino a diventarne padroni. Lentamente, chi ha la fortuna di incontrare un ottimo “maestro”, scopre ciò che non avrebbe mai immaginato potesse apprendere, restando fuori dal tatami a guardare. Si apprende l’arte da chi la pratica, da chi te la fa amare, da chi non usa parole per comunicare la sua passione, ma il suo saper fare e saper essere quotidiano.
Questa è la magia del Judo, che va oltre il Judo e pervade la vita di chi si fa prendere, trasformandola in continua ricerca del meglio di sé, in ogni occasione e circostanza, per essere da esempio e di aiuto a chi ne ha bisogno.
[1] Plinio, Epistole, 8,14).
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