Silvio Tavoletta: «Il judo italiano è elitario e poco trasparente; voglio invertire questo trend»
Italiajudo vi propone l’intervista a Silvio Tavoletta, candidato al Consiglio Nazionale della FIJLAKM in rappresentanza degli insegnanti tecnici per il settore Judo.
In un periodo così difficile, con quali strumenti pensa di aiutare le società sportive nel caso Lei dovesse essere eletto?
Ritengo ci siano diversi livelli di intervento. Da un lato è fondamentale continuare a sostenere le società con dei ristori, ovvero dei contributi economici, sia attraverso la collaborazione con il Governo sia in maniera diretta. In riferimento a questa seconda opzione, è evidente che la Federazione si stia concentrando sull’attività di élite proprio a causa della pandemia. Ebbene, i benefici che derivano da una gestione federale alleggerita rispetto al passato dovrebbero essere distribuiti alle società sportive. Mi riferisco chiaramente ad apporti che vadano oltre il contributo per l’affiliazione annuale!
Dall’altro lato, bisognerebbe lavorare ad un sistema di screening mettendo a disposizione delle società sportive tamponi rapidi a costi contenuti. Per realizzare questo ambizioso progetto bisogna lavorare e collaborare con gli enti nazionali e locali. È un percorso difficile ma fattibile. Ho avuto modo di vedere con i miei occhi un simile esempio messo in piedi da un altro sport proprio qui in Abruzzo: infatti, a Chieti la squadra di pallamano fa un tampone rapido antigenico ogni mattina.
Inoltre, ritengo che sia compito della Federazione fornire sia gli strumenti necessari ad assicurare un livello di sicurezza elevato, come la stesura di protocolli, sia fornire esempi e tutorial che chiariscano inequivocabilmente che cosa è consentito fare e cosa non lo è, limitando la libera interpretazione ed il grado di confusione.
Lei si candida in rappresentanza degli insegnanti tecnici, come vede il ruolo del Direttore Tecnico e del suo staff?
La struttura tecnica della Nazionale dev’essere soprattutto in grado di pianificare in maniera strategica un percorso che consenta lo sviluppo e la ricerca dei nuovi talenti sul territorio, un percorso che supporti i piccoli club e li aiuti a svilupparsi. Conservo il ricordo di quando ero atleta e conquistai un quinto posto ai campionati italiani all’età di 15 anni. All’epoca, fui inserito nel progetto Sydney 2000. Era il 1988, ben 12 anni prima dello svolgimento dell’evento Olimpico, forse un progetto fin troppo avveniristico, ma è così che lavorano le grandi organizzazioni; dobbiamo essere capaci di indicare la traiettoria idonea a traghettare la nostra nazionale al successo delle Olimpiadi di Los Angeles 2028; dobbiamo guardare al lungo periodo, questo dev’essere l’obiettivo strategico di un Direttore Tecnico.
Si possono avere diverse modalità di approccio in funzione dello stile di management. Per esempio, si potrebbe impostare la nazionale dividendo la squadra maschile e femminile, come fa la Russia o il Giappone, con due Direttori Tecnici che hanno gli stessi obiettivi e stesse finalità strategiche, lavorando a più livelli senza tralasciare le classi esordienti e cadetti e integrando i giovani juniores in campo internazionale con la squadra seniores. Ad ogni classe bisogna dare obiettivi specifici. In riferimento agli esordienti e ai cadetti, che evolvono continuamente la propria tecnica, bisognerebbe puntare sulla metodologia e sull’approccio al combattimento piuttosto che ad una precoce specializzazione tecnica o tattica.
Io ritengo che a livello territoriale vada creata un’attività coordinata da uno staff tecnico regionale, con un protocollo specifico e degli obiettivi strategici per far crescere gli atleti nella propria regione, sfruttando i tanti collaboratori tecnici, a parer mio validissimi, che abbiamo in italia. Così come fanno altri sport, come il basket o il rugby, vedo la necessità di organizzare in ogni regione a domeniche alterne un allenamento collegiale per la classe esordienti e cadetti, tenuto da allenatori federali. Questo è un progetto che consente di fare massa critica e piano piano scremare e specializzare le nostre nazionali.
Secondo Lei attualmente ci sono in Italia insegnanti tecnici all’altezza di ricoprire il ruolo da direttore tecnico oppure bisognerà andarlo a cercare all’estero?
Secondo me ci sono insegnanti tecnici in Italia capaci di rivestire questo ruolo. Il Direttore Tecnico non dev’essere soltanto bravo ad insegnare una tecnica o a gestire un allenamento, ovviamente per quello ci sono anche gli allenatori. Il DT deve essere un manager, un mediatore e deve consentire un equilibrio meritocratico, slegato dalla politica. Un DT nostrano potrà conoscere meglio tutti gli atleti delle diverse classi, le dinamiche che ci riguardano, i meccanismi legati al budget e probabilmente potrebbe avere più successo nel mitigare i rischi o addirittura annullarli. In alternativa, assegnare ad uno straniero questa responsabilità, con degli obiettivi e dei sistemi di valutazione e monitoraggio costanti, è più rischioso e costa di più. E poi dovremmo metterlo in condizione di essere autonomo e scegliere tutto il proprio staff. Non mi sembra così semplice.
Come pensa potremmo capitalizzare l’esperienza degli atleti di alto livello che terminano con l’attività agonistica e che di fatto non hanno mai allenato?
Un atleta di alto livello che finisce l’attività agonistica non ha la tendenza personale all’insegnamento, a donare la propria esperienza o magari non si è mai cimentato nel comunicare qualcosa. Alcuni hanno già quest’attitudine, altri no. La maggior parte ha bisogno di una formazione specifica, in modo che chi ha avuto risultati per se stesso possa trasformare le proprie conoscenze e trasferirle a chi ha voglia di imparare. La crescita di questi talenti dovrà essere filtrata da un’area della scuola di formazione federale, che si occupa della conversione dall’agonismo all’insegnamento.
Basta vedere il modello russo. Vi porto l’esempio di Galstyan, che ha vinto le Olimpiadi a Londra nel 2012. Egli è stato inserito dapprima sul campo affiancando gli allenatori della classe cadetti, poi è stato inserito come assistant coach delle squadre di classe superiore. Non l’hanno buttato subito ad allenare la nazionale maggiore, forse perchè sui cadetti ha diversa valenza la figura di un campione. Basti fare riferimento all’aspetto motivazionale: i giovani atleti vedono i grandi campioni come idoli e ciò non fa altro che fortificare il legame emotivo con la nazionale.
Dal punto di vista della formazione degli insegnanti tecnici, che cosa invece va assolutamente migliorato?
Manca l’approccio territoriale. Come si può diventare insegnanti dopo aver seguito un corso di aspirante allenatore della durata di quindici giorni? Scherziamo? I corsi devono essere perlomeno annuali, una parte potrebbe essere fatta on line, per esempio quella teorica, quella riguardante la medicina o la parte dell’allenamento funzionale, poi c’è bisogno di una settimana o quindici giorni al mese dove poter fare la grossa parte pratica in regione, dove dev’esserci un avamposto della scuola federale permanente. La qualifica di allenatore potrebbe arrivare dopo un anno di corso obbligatorio, dove la priorità dev’essere non solo insegnare tutte le tecniche del Go-Kyo, ma anche far comprendere il processo di apprendimento e il processo educativo che porta alla conoscenza di queste tecniche.
Dopo il primo anno, così come avviene all’interno dell’IJF, anche il secondo e il terzo livello devono perdurare dodici mesi. Ribadisco, una parte della formazione va assolutamente fatta in regione, perché non ci possiamo permettere che questo tipo di attività sia dedicata solo a chi può allontanarsi quindici giorni per andare a Roma. Aggiungo anche che l’aggiornamento insegnanti tecnici non si può limitare a due giorni l’anno, dev’essere continuo e costante. Magari si potrebbe mettere in piedi un sistema che assegni crediti formativi. Non si può non riconoscere uno stage come quello di Montpellier, dove sono presenti tecnici di altre nazioni di altissimo livello e poi costringere a fare un corso in regione di un paio di giorni, magari con un tecnico che indossa il judogi di rado e con trecento persone che non fanno judo tutto l’anno.
Lei ritiene che la FIJLKAM abbia una gestione trasparente?
Secondo me no. Spesso dai social network apprendo di avvenimenti che hanno luogo all’insaputa della maggior parte delle società sportive; un esempio che mi balza alla mente è il recente stage organizzato a Napoli, circoscritto ad un gruppo ristretto di atleti. Questo è un esempio di quanto il judo italiano sia elitario, frazionato e poco trasparente, uno stage dove potevano partecipare tutti gli atleti che si stanno preparando per competizioni nazionali ed internazionali, sarebbe stato corretto aprirlo a tutti. Un altro esempio è rappresentato dai passaggi di Dan, che dovrebbero essere più seri e meritocratici. Ci devono essere dei requisiti pubblici e condivisi, in modo da dare la possibilità di avanzare una richiesta a chiunque abbia le carte in regola, la Federazione dovrà poi analizzarle ed infine assegnare il Dan, rendendo quest’ultima informazione pubblica e fruibile anche on line.
La sede della nostra Federazione dovrebbe essere un castello di vetro, facile da raggiungere, con acqua chiara che scorra al proprio interno, non un edificio chiuso, arroccato su un colle e non fruibile a chi non abbia un santo in paradiso. Dev’essere pronta e disponibile a dare risposte efficaci ai territori. Parlando col Presidente Falcone, gli chiesi da quanto tempo non venisse in Abruzzo. Sono rimasto stupito dalla sua risposta, eppure dista un’ora di macchina ed è sede di uno dei Grand Prix esordienti con più atleti iscritti.
Come mai Lei e il suo gruppo fate l’occhiolino ad entrambi i candidati presidenti e non vi siete schierati con nessuno dei due?
Non ci siamo uniti per combattere contro qualcuno, non riteniamo sia opportuno fare una squadra per il presidente, piuttosto per il settore che amiamo. Candidandomi insieme ai tre amici con cui condivido obiettivi ed ideali, vorrei contribuire alla costruzione di un futuro più trasparente, più meritocratico e sicuramente più propulsivo per lo sviluppo di tutto il movimento judoistico. Non strizziamo l’occhio a Felice Mariani piuttosto che a Domenico Falcone, anzi vogliano proprio prenderne le distanze positivamente, affinché chiunque sia a capo della Federazione possa trovare un valido sostegno per costruire un futuro migliore.
Se fossimo al servizio di un presidente non potremmo combattere per ciò che è giusto, perché dovremmo avallare ogni decisione. È ovvio che se fossi costretto a scegliere, preferirei un guerriero e non uno che non ha mai combattuto.
Guardando lo statuto della Fijlkam, essa si occupa non solo del judo di alto livello ma anche di quello promozionale e amatoriale. Che tipo di iniziative sta pensando di introdurre al fine di supportare anche queste due categorie?
Il judo amatoriale e promozionale possono rappresentare una vera forza per la Federazione, che fino ad adesso non è stata capace di rendersi attrattiva per queste categorie. Basti pensare al fatto che in molti club sia di judo che di karate c’è una maggioranza di soci che sono tesserati per gli enti di promozione sportiva e che non sono tesserati per la FIJLKAM. Per invertire questo trend, la Federazione deve assicurare insegnanti tecnici di qualità, polizze assicurative competitive ed adeguate, ed opportunità di crescita e di specializzazione in ogni ambito e per ogni tesserato, dall’atleta, all’insegnante tecnico passando per gli ufficiali di gara. Per fare un esempio, ritengo che sia necessario preparare gli insegnanti tecnici a rapportarsi con il mondo della scuola in modo da instaurare relazioni proficue e durature nei territori. Non basta fare un progetto e metterlo on line.
Per concludere, vuole aggiungere qualcosa?
Spero che i nostri ragazzi in futuro possano avere una Federazione libera da condizionamenti. Ed io mi candido perché voglio cambiare le cose, perché voglio dare possibilità maggiori ai miei ragazzi, incluso mio figlio, e a tutti i judoka d’Italia.
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