Cosa resta del 2015?
Cosa resta del 2015? Dopo Torino sembra restare molto amaro: la lettera del Judoka Varesino – “Addio cara FIJLKAM” di Daniele Scaglia – ha scatenato il popolo del dissenso e il disagio di tanti comuni judoka insoddisfatti: se l’evento incriminato non può essere di per sé degno di nota – l’applicazione delle norme ha semplicemente seguito […]
Cosa resta del 2015? Dopo Torino sembra restare molto amaro: la lettera del Judoka Varesino – “Addio cara FIJLKAM” di Daniele Scaglia – ha scatenato il popolo del dissenso e il disagio di tanti comuni judoka insoddisfatti: se l’evento incriminato non può essere di per sé degno di nota – l’applicazione delle norme ha semplicemente seguito i regolamenti – ciò che colpisce e resta è il disagio, generale e generalizzato e la mancanza di fiducia in un sistema stantio che teme il cambiamento.
È oggettivo d’altronde che il sistema federale resista ad una doverosa evoluzione: tuttavia occorre saper leggere anche i segnali – timidi ma efficaci – di una spinta interna alla Federazione stessa, a guardare avanti.
Due spunti positivi: Torino e Parma.
A Torino per la prima volte l’Assoluto 2015 ha puntato in alto trasformando la “solita gara” in un evento curato nei dettagli così da trasformare una “serie di incontri” in uno spettacolo: per la prima volta in Italia – senz’altro dai tempi dell’ultimo Tre Torri – le finali combattute in un’atmosfera da “Grande Boxe” hanno emozionato, l’introduzione di un’App per facilitare tecnici ed atleti ha finalmente proiettato l’Italia nel “presente tecnologico”, la selezione degli ufficiali di gara mediante Ranking List ha cominciato a dare alcuni timidi frutti positivi, così come l’introduzione del doppio care-system…tutto migliorabile e non poco, certo: ma se paragoniamo gli ultimi due assoluti i passi compiuti non sono certo bazzecole con una pesante eredità lasciata a Parma 2016.
Non sono passi scontati: nessuno lo ammetterà ma è evidente che da Asti a oggi, tra i vertici federali siano maturate una maggiore tendenza all’ascolto e la consapevolezza che “cambiare si può”. Non basta, certo: ma si riparte da qui.
Sulla stessa linea positiva anche il Seminario per gli Alti Gradi di Parma: quello che in troppi pensavano fosse una rassegna autocelebrativa o una sfilata di “parrucconi”, o una sfida a “la mia è più rossa” è invece stata un’occasione di confronto e crescita; gli alti gradi, testimoni, protagonisti e responsabili nel bene e nel male di quello che è l’Italia oggi, hanno un dovere morale nei confronti del judo, proposta educativo-morale prima ancora che sport dilettantistico o professionale. Riunire i massimi esponenti della storia del judo azzurro ha avuto un senso profondo anche in ottica futura: l’Italia, storicamente frammentata e tutt’oggi incapace di pensare in prospettiva nazionale ha la necessità di sentirsi “una” a dispetto dei campanilismi…nella nazione in cui ciascuno nel suo territorio pretende di essere un piccolo Jigoro Kano, ragionare in prospettiva nazionale dovrebbe essere esercizio quotidiano, soprattutto per gli alti gradi perché tramandino ai giovani un modo diverso di vedere e di vedersi…
Alle porte del 2016 d’altronde non possiamo piu ragionare come negli anni ’80: agli ermetismi federali e alle pulsioni scissioniste è doveroso anteporre un condiviso senso di responsabilità che rimpiazzi le resistenze interne e le vacue polemiche di chi pensa solo a cercare i “colpevoli”, alle nuove soluzioni proposte da chi osa metterci la faccia…ognuno ha le sue responsabilità piccole e grandi: il disagio denunciato dall’Addio di Daniele fa eco alle spinte interne di una federazione sempre più consapevole che il cambiamento sia ormai irrinunciabile.
Cosa resta dunque del 2015? Il ricordo dello show internazionale degli azzurrini, l’eco degli strappi estivi, la timida ripresa verso Rio guidata da Murakami dovrà tradursi in un 2016 in cui CAMBIARE diventi un imperativo: sia che si tratti di cambiare vecchie abitudini che di cambiare vecchie persone.
Senza paura, senza perdere altro prezioso tempo..ne saremo capaci?
NO
In tal caso nessuno più si lamenti, se non della propria inettitudine.
il mio commento, se vuoi secco e irreverente è basato sull’esperienza dello scorso quadriennio su cui non voglio tornare più del dovuto, ma di una cosa ne sono convinto, alla fine la struttura per quanto incasinata è l’unica certezza che rimane, per cambiare dovrebbe cambiare totalmente e politicamente, e quando questo dovrebbe o potrebbe accadere?